Attenzione, amarcord! “Non voglio un’Unione Sovietica Europea”. Quanto aveva ragione la Thatcher

· 21 Maggio 2024


Pubblichiamo di seguito un estratto del discorso che Margaret Thatcher, allora primo ministro del Regno Unito, tenne il 20 settembre 1988 al Collegio d’Europa di Bruges. In quell’occasione la Lady di Ferro tratteggiava un’idea di Europa imperniata sulla cooperazione volontaria e sul libero scambio, alternativa a quella centralista e dirigista in voga a Bruxelles. Una contrapposizione di modelli che vale tutt’ora, forse vale a maggior ragione oggi (traduzione tratta da Margaret Thatcher: Il discorso di Bruges – StoriaLibera).

Il mio primo principio guida è questo: la cooperazione attiva e volontaria tra Stati sovrani indipendenti, è il modo migliore per costruire una Comunità Europea di successo. Cercare di sopprimere le nazionalità e concentrare il potere al centro di un conglomerato europeo sarebbe altamente dannoso e comprometterebbe gli obiettivi che cerchiamo di raggiungere. L’Europa sarà più forte proprio perché ha la Francia in quanto Francia, la Spagna in quanto Spagna, la Gran Bretagna in quanto Gran Bretagna, ciascuno con i proprie costumi, tradizioni e identità. Sarebbe follia cercare di costringerli in una sorta di personalità europea tipica.

Alcuni dei padri fondatori della Comunità pensavano che gli Stati Uniti d’America avrebbero potuti essere il suo modello. Ma l’intera storia dell’America è molto diversa da quella dell’Europa. Le persone andarono lì per allontanarsi dalla intolleranza e dalle costrizioni della vita in Europa. Cercavano libertà e opportunità; e il loro forte senso di scopo ha, lungo due secoli, contribuito a creare una nuova unità e l’orgoglio di essere americani, proprio come il nostro orgoglio è di essere britannici o belgi o olandesi o tedeschi. Io sono la prima a dire che in molte grandi temi i Paesi europei dovrebbero cercare di parlare con una sola voce. Io voglio vederci lavorare più strettamente sulle cose che possiamo fare meglio insieme che da soli. L’Europa è più forte quando lo facciamo, sia che si tratti di commercio, di difesa o delle nostre relazioni con il resto del mondo. Ma lavorare a più stretto contatto non richiede che il potere sia centralizzato a Bruxelles o le decisioni siano prese da una burocrazia designata. Anzi, è ironico che, proprio quando i paesi, come l’Unione Sovietica, che hanno cercato di fare tutto in modo centralizzato, stanno imparando che il successo dipende dal potere disperso e dalle decisioni prese lontano dal centro, ci siano alcuni nella Comunità che sembrano voler muoversi nella direzione opposta. Non abbiamo fatto arretrare con successo le frontiere dello Stato in Gran Bretagna, solo per vederle reimposte a livello europeo con un super-Stato europeo che esercita un nuovo dominio da Bruxelles. Certamente vogliamo vedere l’Europa più unita e con un maggiore senso di uno scopo comune. Ma deve essere in un modo che preserva le diverse tradizioni, i poteri parlamentari e il senso di orgoglio nazionale nel proprio paese; perché queste sono state la fonte di vitalità dell’Europa attraverso i secoli.

IL MERCATO COME STELLA POLARE

Il mio secondo principio guida è questo: le politiche comunitarie devono affrontare i problemi presenti in un modo pratico, per quanto difficile possa essere. Se non siamo in grado di riformare le politiche comunitarie che sono palesemente sbagliate o inefficaci e che giustamente causano inquietudine pubblica, allora non potremo ottenere il sostegno dell’opinione pubblica per lo sviluppo futuro della Comunità. Ed è per questo che i risultati del Consiglio europeo di Bruxelles lo scorso febbraio sono così importanti. Non era giusto che la metà del bilancio comunitario totale fosse stato speso per la conservazione e lo smaltimento di eccedenze alimentari. Ora tali scorte si stanno drasticamente riducendo. Era assolutamente giusto decidere che la quota di bilancio destinata alla agricoltura dovesse essere tagliato in modo da liberare risorse per altre politiche, come aiutare le regioni meno sviluppate e aiutare la formazione professionale. È stato ancora giusto introdurre una più stretta disciplina di bilancio per far rispettare queste decisioni e per portare la spesa comunitaria sotto un controllo migliore. E quelli che si lamentavano che la Comunità passava così tanto tempo sui dettagli finanziari erano in errore. Non si può costruire su basi non solide, finanziarie o di altro tipo, e quella finanziaria è stata la riforma fondamentale concordata lo scorso inverno, che ha aperto la strada per i notevoli progressi che abbiamo fatto sul mercato unico. Ma non possiamo riposare su ciò che abbiamo realizzato fino ad oggi. Ad esempio, il compito di riformare la Politica Agricola Comune è lungi dall’essere completa. Certo, l’Europa ha bisogno di un settore agricolo stabile ed efficiente. Ma la PAC è diventata ingombrante, inefficiente e grossolanamente costosa. La produzione di eccedenze indesiderate non salvaguarda né il reddito, né il futuro degli agricoltori stessi. Dobbiamo continuare a perseguire politiche che mettano meglio in relazione l’offerta con le esigenze del mercato, e che così ridurranno la sovrapproduzione e limiteranno i costi. Naturalmente, dobbiamo proteggere i villaggi e le zone rurali, che sono una parte così importante della nostra vita nazionale, ma non attraverso lo strumento dei prezzi agricoli. Affrontare questi problemi richiede coraggio politico. La Comunità danneggerà solo se stessa agli occhi del suo popolo e del mondo esterno, se quel coraggio manca.

PIANIFICARE E’ LA RICETTA PER IL FALLIMENTO

Il terzo principio guida è la necessità di politiche comunitarie che incoraggino il fare impresa. Se l’Europa vuole prosperare e creare i posti di lavoro del futuro, l’impresa è la chiave. La struttura di base è già in essere: il Trattato di Roma stesso è stato inteso come una Carta per la libertà economica. Ma non è questo lo spirito con cui è sempre stato letto, ancora meno applicato. La lezione della storia economica dell’Europa negli anni ‘70 e ‘80 è che la pianificazione centralizzata e un controllo capillare non funzionano mentre invece sforzo personale e l’iniziativa funzionano. Un’economia controllata dallo Stato è una ricetta per bassa crescita e che la libera impresa in un quadro di diritto porta risultati migliori. L’obiettivo di un’Europa aperta all’impresa è la forza motrice dietro la creazione del mercato unico europeo nel 1992. Ottenendo l’eliminazione delle barriere, rendendo possibile per le aziende di operare su scala europea, siamo in grado di meglio competere con gli Stati Uniti, il Giappone e le altre nuove potenze economiche emergenti in Asia e altrove. E questo significa agire per liberare i mercati, agire per ampliare le scelte, agire per ridurre l’intervento del governo. Il nostro obiettivo non dovrebbe essere una sempre più dettagliata regolamentazione dal parte dei governi centrali; il nostro obiettivo dovrebbe invece essere la deregolamentazione e l’eliminazione dei vincoli sul commercio.

La Gran Bretagna è stata all’avanguardia nell’aprire agli altri i suoi mercati. La City di Londra ha da tempo accolto le istituzioni finanziarie di tutto il mondo, ed è per questo che è oggi il più grande centro finanziario in Europa e quello di maggior successo. Abbiamo aperto il nostro mercato degli impianti di telecomunicazione, introdotto la concorrenza nei servizi di mercato e anche nella rete stessa, passi che altri in Europa stanno iniziando solo ora ad affrontare. Nel trasporto aereo abbiamo preso l’iniziativa di liberalizzazione e abbiamo visto i benefici di tariffe più economiche e di una scelta più ampia. Il nostro commercio di cabotaggio è aperto alle marine mercantili d’Europa.

Ci sarebbe piaciuto poter dire lo stesso di molti altri membri della comunità. Per quanto riguarda le questioni monetarie, lasciatemi dire questo. La questione chiave non è se ci dovrebbe essere una Banca Centrale Europea. I requisiti immediati e pratici sono: – attuare l’impegno preso dalla Comunità per la libera circolazione dei capitali – in Gran Bretagna, noi l’abbiamo; – realizzare l’abolizione del controllo dei cambi nella Comunità – in Gran Bretagna, lo abbiamo abolito nel 1979; – stabilire una reale liberalizzazione del mercato dei servizi finanziari nel settore bancario, assicurativo, investimenti; – fare un maggior uso dell’ECU. Questo autunno, la Gran Bretagna sta emettendo buoni del Tesoro denominati in ECU e spera di vedere altri governi della Comunità sempre più fare lo stesso.

Questi sono i veri requisiti perché sono ciò che le aziende e l’industria comunitaria hanno bisogno per poter competere efficacemente nel resto del mondo. E sono ciò che il consumatore europeo vuole, perché grazie a questi saranno ampliate le sue scelte e abbassati i suoi costi. È a queste misure pratiche basilari che l’attenzione della Comunità dovrebbe essere dedicata. Quando questi traguardi saranno stati raggiunti e sostenuti in un periodo di tempo, allora saremo in una posizione migliore per valutare la mossa successiva.

NON POSSIAMO ABOLIRE LE FRONTIERE

È la stessa cosa riguardo le frontiere tra i nostri Paesi. Naturalmente, noi vogliamo rendere più facile per le merci di attraversare le frontiere. Naturalmente, noi dobbiamo rendere più facile per le persone di viaggiare in tutta la Comunità. Ma è una questione di semplice buon senso che non possiamo assolutamente abolire i controlli alle frontiere se vogliamo anche proteggere i nostri cittadini dalla criminalità e fermare il movimento di farmaci, di terroristi e degli immigrati illegali. Questo è stato evidenziato solo tre settimane fa, quando un coraggioso agente doganale tedesco, facendo il suo dovere al confine tra Olanda e Germania, ha inferto un duro colpo ai terroristi dell’Ira.

E prima di lasciare l’argomento del mercato unico, posso dire che noi certamente non abbiamo bisogno di nuove norme che aumentino il costo del lavoro e rendano il mercato del lavoro in Europa meno flessibile e meno competitivo rispetto i fornitori d’oltremare. Se vogliamo avere un statuto societario europeo, esso dovrebbe contenere il minimo di norme. E certamente noi in Gran Bretagna ci batteremmo contro i tentativi di introdurre il collettivismo e il corporativismo a livello europeo, anche se ciò che i popoli desiderano fare nel proprio paese è una questione loro.


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