Ecco perché nell’era di Trump e Putin l’Europa ha urgente bisogno di una nuova identità

· 27 Maggio 2025


La seconda presidenza Trump, ormai è evidente, rappresenta un cambio di paradigma significativo nei rapporti tra Stati Uniti ed Europa. L’idea di America proposta da Trump non è più quella della Guerra Fredda né quella dell’unilateralismo democratico, in cui gli Stati Uniti si sentivano autorizzati a imporre la democrazia nel mondo senza il consenso di altri Paesi o istituzioni.

Il nuovo ordine che si sta delineando costringe l’Europa a una scelta cui non può sottrarsi: riuscirà a rafforzare la propria autonomia strategica e favorire, in qualche misura, un riavvicinamento tra Stati Uniti e Russia, oppure rimarrà un attore passivo e sullo sfondo, all’interno di un mondo in trasformazione? Il Vecchio Continente si trova di fronte a una svolta decisiva per il proprio destino geopolitico, con il rischio di perdere in maniera definitiva la propria centralità nel panorama internazionale.

Il trumpismo non è una dottrina rigida, ma un approccio pragmatico alla politica internazionale. Trump è prima di tutto un negoziatore che utilizza l’imprevedibilità come strategia. Questo atteggiamento, se da un lato rende difficile anticipare le sue mosse, dall’altro suscita preoccupazione tra gli alleati europei, abituati a una politica americana più stabile e prevedibile. Tuttavia, la sua capacità di rinegoziare le relazioni internazionali potrebbe aprire nuove opportunità per l’Europa, se questa saprà coglierle e adattarsi al nuovo contesto globale senza rimanere ancorata a schemi ormai superati.

Anzitutto, è cruciale comprendere che Trump sta riportando l’America al suo ruolo storico di potenza del Pacifico. Il pragmatismo anti-ideologico di Trump, orientato principalmente alla tutela dell’interesse nazionale, inevitabilmente spinge gli Stati Uniti a prendere le distanze dall’approccio e dagli obiettivi tradizionali dell’Alleanza Atlantica. Questi ultimi, infatti, sono l’eredità di due guerre mondiali, in cui gli Stati Uniti furono coinvolti loro malgrado. Questo cambiamento si traduce in una minore attenzione verso la NATO e un ridimensionamento del coinvolgimento statunitense nelle dispute europee. Inoltre, il protezionismo economico promosso da Trump, con le sue chiare ripercussioni sul commercio transatlantico, costringe l’Europa a cercare nuovi equilibri anche economici.

In secondo luogo, Trump sta favorendo la creazione di un mondo multipolare, dove gli Stati Uniti fungono da perno per una coalizione anti-comunista. Ossia, in questo momento storico, anti-cinese. Ecco perché la Russia è vista come alleato, o per lo meno come potenziale deterrente della Cina post-maoista.

La Russia di Putin ha elementi di conservatorismo culturale che risuonano con parte del mondo occidentale (difesa della famiglia tradizionale, cristianesimo ortodosso, patriottismo) e, per tale ragione, suscita interesse e persino attrattiva in fasce significative dell’opinione pubblica occidentale, ma è anche un modello autoritario incompatibile con la tradizione liberale e democratica dell’Occidente.

Questa strategia ha al contempo grossi ostacoli da considerare. Un primo ostacolo è esterno. Mosca e Pechino hanno infatti rafforzato, negli ultimi anni, la partnership economica e strategica in funzione anti-occidentale, rendendo complesso un eventuale riavvicinamento tra Washington e il Cremlino. Nonostante le tensioni tra i due popoli che esistono almeno dai tempi dell’invasione mongola, russi e cinesi hanno costruito un’alleanza solida basata su interessi comuni. Mosca fornisce risorse energetiche a Pechino, mentre la Cina supporta l’economia russa con tecnologia e investimenti. Separare questi due attori richiede una strategia di lungo periodo e una serie di incentivi concreti da parte dell’Occidente.

L’Europa dovrebbe giocare un ruolo chiave in questo scenario, proponendosi come mediatore tra gli Stati Uniti e la Russia, per spezzare il legame tra Mosca e Pechino e favorire un nuovo equilibrio internazionale. La vera sfida è capire fino a che punto sia possibile dialogare con Mosca senza compromettere i propri principi. Un riavvicinamento tra Russia ed Europa sarà possibile solo se Bruxelles riuscirà a proporre un modello politico ed economico alternativo credibile, senza rinunciare ai suoi valori fondamentali e in grado di attirare Mosca indipendentemente dalle sue intenzioni, bellicose o meno.

Elemento da non sottovalutare, Russia e Cina stanno espandendo la propria influenza in Africa con un approccio complementare: Pechino investe nelle infrastrutture, mentre Mosca fornisce supporto militare a regimi amici. Questo binomio rappresenta una sfida per l’Occidente, che rischia così di perdere il controllo su un continente strategico per il commercio di risorse e il suo futuro demografico.

Vi è poi un secondo ostacolo, di natura interna. L’Occidente continuerà a subire (presumo in maniera persino più violenta) l’ideologia woke, che avanza con agende di stampo globalista e statalista, e che viene perpetrata dai più importanti mezzi di comunicazione e dalle grandi istituzioni accademiche, spesso con finanziamenti più o meno occulti delle potenze storicamente nemiche dell’Occidente.

Con Trump alla Casa Bianca, la NATO potrebbe perdere centralità e l’approccio alla guerra in Ucraina cambierebbe radicalmente. Washington punterebbe a una soluzione diplomatica per ridurre il proprio coinvolgimento diretto. Tuttavia, lo smantellamento della NATO appare improbabile: l’Alleanza resta utile per contenere la Germania e bilanciare la Russia.

L’Europa si prepara a una diminuzione del sostegno americano e cerca di rafforzare la propria difesa. Questo però è reso complicato dalla crisi demografica e, soprattutto, dalla crisi dei valori: come potrà convincere i pochi giovani rimasti a combattere in una possibile guerra contro l’asse russo-cinese, se non credono affatto (giustamente) in questa causa?

Il futuro dell’Europa dipende esclusivamente dalla capacità di riscoprire le proprie radici culturali e politiche. L’Europa è la sintesi di pensiero greco, diritto romano, spirito germanico e tradizione cristiana. Senza una visione comune, l’Europa rischia di frammentarsi e di diventare ciò che già è a livello geografico, cioè un’appendice dell’Asia, sotto l’inevitabile influenza dei tre grandi poli di Mosca, Pechino e delle potenze arabe. Per evitare il declino, è necessario un forte impegno culturale, ancor prima che politico, che riporti l’Europa al centro della scena mondiale.

Non è necessario smantellare l’Unione Europea, ma ripensarla profondamente. Le attuali élite europee si sono dimostrate incapaci di affrontare le sfide. Per garantire un futuro autonomo e prospero, è essenziale un cambiamento radicale nella leadership politica e nelle strategie di sviluppo continentale. Un’Unione europea più flessibile e attenta alle esigenze dei singoli Stati potrebbe rappresentare la soluzione per affrontare il nuovo ordine globale senza rinunciare alla propria unità.

La seconda presidenza Trump rappresenta dunque un bivio storico per l’Europa. Continuare sulla strada percorsa sinora significherebbe restare un attore passivo e accettare l’irrilevanza geopolitica. Al contrario, un’Europa consapevole della propria identità e capace di ridefinire la sua posizione nel mondo potrebbe emergere come un polo autonomo, capace di influenzare il nuovo ordine globale e garantire la propria stabilità nel lungo periodo.


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