Ecco perché l’Europa minaccia l’agricoltura
Carlo Cambi · 21 Maggio 2025
Nella consueta carrellata di temi di attualità della rubrica “Gli scorretti”, Giulio Cainarca e Carlo Cambi affrontano anche il tema dell’agricoltura, della sua “sovranità” e dei rapporti con l’Europa:
“Bisognerebbe andare a Bruxelles, cosa che peraltro hanno cercato di fare tutti, a dire che le agricolture europee non sono tutte uguali: gli strumenti che voi avete messo in campo per agevolare per esempio le agricolture dell’est, la Polonia, la Romania, la Bulgaria, l’Ungheria, oltre alla la Germania e in parte alla Francia che ha un’agricoltura largamente estensiva, non vanno bene per le coltivazioni mediterranee: se mi dai contributi in base alla quantità di ettari che ho a disposizione e non in base a quelli che investo con la produzione, gli agricoltori italiani sono sempre svantaggiati, perché noi abbiamo un Paese al 60% montuoso. Se poi li dai non sulla qualità della produzione, ma sulla quantità, ecco un ulteriore svantaggio. Se se poi prendi i fondi di coesione e un pezzo di fondi PAC (Politica agricola comune) per comprare le bombe, perché non te ne frega nulla dello sviluppo rurale, e non hai come l’Italia 8mila e passa Comuni di cui l’80% sotto i 5 mila abitanti, evidentemente quella PAC non va bene”.
“Dunque si potrebbe fare una politica agricola in Italia se la PAC, invece di assegnare contributi diretti, desse una quota per ogni Paese, e se ogni Paese fosse in grado di gestire secondo le specifiche della propria morfologia e delle proprie coltivazioni i sussidi agricoli. Ma questa è una questione vecchia come l’Europa, e ovviamente non ci stanno quelli che dall’Europa prendono di più quelli dell’Est, la Germania e la Francia”.
“Il marchio Italia ha bisogno di una visione unitaria e quindi serve una struttura, in questo caso potrebbe essere il Ministero, che fa coordinamento delle politiche agricole. Ma poi la gestione concreta dei fondi, delle misure strutturali, deve essere lasciata alle Regioni, io addirittura direi a dirti alle Province”.
“Faccio un esempio sulla mia Toscana: chi coltiva la Val d’Orcia o il Chianti, mettendo insieme muretti a secco, badando cipressi, sistemando gli olivi, offre al visitatore della Toscana e a chi ha l’albergo a Fiesole l’opportunità di godere di un bene pubblico collettivo, un paesaggio di particolare pregio, che fa sì che una camera a Bagno a Ripoli la paghi 350 euro, mentre se sei a Agrate Brianza la paghi 80 euro. Questo, delta di valore al contadino va restituito e come? Comprando i carciofi o facendo sì che lui sia protagonista sociale ed economico rilevante. Gianmarco Centinaio insieme a Lollobrigida sulla legge per l’agricoltore custode, che è un esempio a livello mondiale, hanno fatto un buon lavoro; ma c’è un ulteriore valore aggiunto dell’agricoltura, che è identità, cultura, riconoscibilità di una popolazione che fa il lavoro agricolo; e l’Europa è quanto più distante possibile da un ragionamento di questo tipo, visto che è fatta di tecnocrati, bada molto agli algoritmi”.
“Non possiamo uscire dall’euro perché abbiamo denominato il nostro debito in euro e quindi la svalutazione sulla lira che si avrebbe uscendo farebbe sì che la cifra del debito pubblico diventerebbe quasi ingestibile. Abbiamo accettato di stare in un sistema che rende complicato uscirne. Ci stiamo battendo da anni come paese sul cosiddetto cambiamento del codice doganale. Il codice doganale è quella cosa per cui se un prodotto anche extracomunitario arriva in Europa e ha una minima trasformazione in Europa, diventa immediatamente comunitario. Chi è che lo difende? I due Paesi che hanno avuto un impero e il terzo Paese che quest’impero se lo è costruito con la dipendenza dal Marco. Per esempio, la Germania importa tantissime nocciole dalla Turchia, le confeziona in Germania e le rimette sul mercato europeo dicendo che sono europee. La Francia, che ha rapporti con il Marocco, fa entrare le arance marocchine e le rivende come se fossero arance comunitarie. La Spagna importa dalle sue terre di oltremare una quantità incredibile di prodotti e li fa diventare comunitari”.
“A questo aggiungi il fatto che la Comunità europea utilizza i prodotti agricoli, tipo il riso cambogiano, la frutta di tutto il Maghreb, l’elenco è infinito, come prodotto diplomatico: cioè concede (come anche anche l’accordo CETA con il Canada, l’accordo Mercosur con i Paesi latinoamericani), sconti sulle produzioni agricole, perché sono quelle che questi Paesi hanno in maggiore quantità e con maggiore disponibilità, non avendo bisogno di grandissimo impiego di capitali né di impiego scientifico. L’Unione Europea li usa come prodotto diplomatico per favorire la finanza francese, le macchine tedesche”.
“Quindi noi non abbiamo una grande convenienza a stare dentro la politica agricola comunitaria: per esempio l’Europa non ci dà protezione fuori dai confini europei per i nostri marchi fondamentali, il prosciutto di Parma, il parmigiano reggiano, la mozzarella di bufala. Così sono sottoposti a un pesantissimo “italian sounding” (cioè un prodotto che “suona” come italiano ma non lo è, ed è stato falsificato) che vale 120 miliardi, quando il nostro export non arriva a 80. Non abbiamo una convenienza a stare in Europa, ma è quasi impossibile abbandonarla”.