Leone è un Papa di convergenza: ecco perché con Prevost la Chiesa sarà più unita

· 12 Maggio 2025


Robert Francis Prevost è il nuovo Papa della Chiesa cattolica. Il nome scelto è quello di Leone XIV, un nome altisonante, che ricorda altri tempi, ben lontani non solo da quello di Francesco, ma persino da quelli di Ratzinger e Wojtyla.

E tuttavia, non bisogna commettere l’errore grossolano che molti stanno compiendo in certe ore, ossia quello di ritenere Papa Leone come la manifestazione di una rottura e il ripristino di un certo tradizionalismo o conservatorismo nella Chiesa. Il nome Leone evoca, nella mente del sacerdote medio occidentale, formatosi dopo il Concilio Vaticano II, essenzialmente due figure: san Leone Magno, il grande papa che fermò Attila alle porte di Roma, e Leone XIII, il grande papa della Rerum Novarum, la prima grande enciclica sociale.

Pace e giustizia, infatti, sono due dei quattro grandi temi che, verosimilmente, accompagneranno questo Pontificato. Gli altri due grandi temi sono l’unità e la missione. Sì, perché Bergoglio ha lasciato una Chiesa disastrata, piena di scismi latenti (peggiori di quelli visibili), contrasti e dissidi ideologici e teologici, oltre che una situazione di grave crisi economica. I cardinali elettori, inclusi quelli creati da Francesco (forse soprattutto loro, vista la provenienza geografica “periferica”, come si suol dire), hanno vissuto sulla propria pelle gli effetti del centralismo e dell’autoritarismo dell’argentino.

A differenza di Bergoglio, il primo papa statunitense della storia, nonché primo monaco agostiniano, è un uomo mite, gentile, ben disposto all’ascolto. Un uomo che ha sempre mostrato di non amare telecamere e riflettori, contrariamente a quanto siamo stati abituati in questi ultimi dodici anni di protagonismo mediatico, ipertrofia magisteriale e logorrea libraria.

Anche a causa di ciò, poco o nulla si sa su molte posizioni del neoeletto. Certo, è stato un uomo di Curia: dal 2023 al 2025 è stato prefetto del Dicastero per i vescovi, l’organo curiale più importante dopo la Segreteria di Stato e il Dicastero per la Dottrina della fede. Vista anche la sua posizione istituzionale, Prevost ha sempre mostrato un certo allineamento con il magistero bergogliano, ma mai in maniera spinta o entusiasta, talvolta in maniera molto contenuta, come per esempio sul tema delle benedizioni alle coppie omosessuali “liberalizzate” da Fiducia supplicans.

Un papa di compromesso? Assolutamente no. Nessun papa di compromesso viene eletto dopo quattro scrutini. Karol Wojtyla è stato un candidato di compromesso, eletto dopo otto scrutini. Angelo Roncalli, altro storico candidato di compromesso, fu eletto all’undicesimo scrutinio. No, Prevost è un successore a suo modo coerente di Bergoglio, seppur non un successore “fisiologico”, come avrebbe potuto essere Jean-Marc Aveline, oppure “di moderata reazione”, come Pietro Parolin. Lo definiremmo piuttosto un “papa di convergenza”.

Un papa di compromesso, infatti, è un pontefice eletto per mediare tra fazioni opposte all’interno del Collegio dei Cardinali o della Chiesa. Un papa di convergenza, invece, è un pontefice che riesce a ottenere il sostegno trasversale di più fazioni grazie a un profilo che, pur non rappresentando una sintesi perfetta di correnti diverse, viene percepito come una soluzione unificatrice. Questi è Prevost.

Il vero kingmaker di questo Conclave è stato, molto probabilmente, il cardinale di New York, Timothy Dolan, conservatore e grande amico di Donald Trump. L’influente porporato della Grande Mela avrebbe ricompattato le fazioni della Chiesa americana, ottenendo il sostegno di conservatori e progressisti. Dolan è emerso così come il grande pacificatore della Chiesa statunitense, divenuta assai divisa soprattutto negli ultimissimi tempi del regno di Francesco.

I voti decisivi sarebbero poi giunti per mano degli elettori africani e asiatici, che inizialmente indecisi, avrebbero orientato la propria scelta verso Prevost, lasciando indietro Parolin.

Inoltre, una presunta donazione di 14 milioni di dollari da parte di Trump al Vaticano, elargita in occasione dei funerali di Papa Francesco, potrebbe aver “rafforzato” il sostegno curiale a Prevost. Comprensibilmente, considerato il deficit pauroso lasciato da Bergoglio, che ammonta a circa 70 milioni di euro.

Ma chi pensa che Papa Leone XIV sia stato scelto solo perché “manipolabile” commette un errore di prospettiva. La storia della Chiesa dimostra che spesso i papi ritenuti deboli o di transizione si sono rivelati figure decisive.

Fu così per San Pio X, eletto nel 1903 come un semplice parroco veneto senza ambizioni, che invece condusse una riforma liturgica profonda e combatté con decisione il modernismo. Lo stesso accadde con Benedetto XV, visto come figura neutra durante la Grande Guerra, che si rivelò un grande diplomatico e promotore della pace. Non così è stato, per esempio, per Benedetto XVI, da tutti considerato saldo e sicuro di sè, il successore naturale di Giovanni Paolo II, che invece si è mostrato più debole del previsto, aprendo di fatto la strada a Bergoglio e alla sua “rivoluzione nella Chiesa”.

Papa Leone XIV, mite e riservato, potrebbe dunque incarnare quella forza tranquilla che, senza clamori, riesce a rimettere ordine, sanare divisioni e dare nuovo slancio alla Chiesa? La storia insegna che è proprio nei silenzi più umili che maturano i gesti più coraggiosi. E la storia ci dirà se questo è un altro di quei casi.


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