Il “dopo” preparato da Francesco: cardinali spaesati, pochi conservatori e minoranza esperta

· 21 Aprile 2025


Papa Francesco, durante i suoi anni di regno, ha trasformato profondamente la composizione del Collegio Cardinalizio, scegliendo di nominare numerosi cardinali provenienti da aree geografiche tradizionalmente poco rappresentate. Apparentemente, questa decisione sembrerebbe un tentativo di dare voce a realtà ecclesiali marginalizzate. Tuttavia, un’analisi più approfondita rivela che questa strategia ha lo scopo di facilitare l’elezione di un successore che prosegua la sua agenda progressista (o come si dice in gergo teologico: neomodernista). Tali sospetti aumentano se consideriamo le implicazioni di molte scelte fatte negli ultimissimi tempi del suo pontificato, come per esempio quella di prolungare la nomina a decano del cardinale Re.

Come ho spiegato più dettagliatamente su una delle più importanti testate cattoliche statunitensi, la creazione di cardinali provenienti dalle “periferie della Chiesa” ha generato due effetti principali. In primo luogo, molti di essi non hanno esperienza con le dinamiche di potere curiali e potrebbero essere facilmente influenzati dai gruppi più strutturati all’interno del conclave. In secondo luogo, la scarsa conoscenza reciproca tra i cardinali potrebbe impedire la formazione di alleanze solide, favorendo l’elezione di un candidato promosso da una minoranza meglio organizzata.

Fatta questa doverosa premessa, i porporati papabili possono essere oggi suddivisi in due principali gruppi, ognuno dei quali rappresenta una diversa visione per il futuro della Chiesa e corrisponderebbe a diverse esigenze politiche. Da un lato vi sono i tradizionalisti e i conservatori, tra cui spiccano i nomi del controverso Raymond Leo Burke, l’africano Robert Sarah e il carismatico Gerhard Ludwig Müller. L’elezione di uno di questi a Papa però risulta assai improbabile: i progressisti non vorranno mai appoggiarli, anche se non dobbiamo dimenticare che – come dimostrato da fonti molto attendibili – durante il conclave 2005 il conservatore Ratzinger vinse per un improvviso dirottamento di voti a suo favore da parte della fazione guidata dal progressista Carlo Maria Martini.

Certamente, un successo del partito tradizionalista segnerebbe una netta inversione di rotta rispetto al pontificato appena giunto al termine. All’interno dello stesso partito troviamo poi cardinali come Daniel Fernando Sturla Berhouet, Mauro Piacenza, Malcolm Ranjith e Pierbattista Pizzaballa, i quali, pur non essendo apertamente contrari alle riforme di Francesco, mantengono una visione teologicamente solida e radicata nella Tradizione, anche liturgica. Ci sono quindi i cardinali più propriamente conservatori dal punto di vista dottrinale e morale, non altrettanto dal punto di vista liturgico, candidati ideali per un possibile “papa di transizione” che sappia mantenere lo status quo della Chiesa in attesa di ulteriori sviluppi e decisioni dietro le quinte. Parliamo di cardinali come Angelo Bagnasco, Charles Maung Bo e Marc Ouellet.

Un secondo schieramento è composto invece dai moderati e dai progressisti filo-franceschiani, tra cui spicca il nome di Jean-Marc Noël Aveline, l’arcivescovo di Marsiglia, a detta di molti il pupillo di Bergoglio. I due si sono incontrati a lungo in Vaticano al di fuori degli orari ufficiali. Quelli che potremmo definire “moderati” sono cardinali meno ideologici e più pragmatici, ma comunque altrettanto inclini a preservare l’impianto dell’attuale pontificato. In questo secondo schieramento troviamo però anche il gruppo più forte e organizzato, cioè quello dei veri eredi della visione di Francesco, tra i quali emergono il filippino Luis Tagle, il portoghese José Tolentino de Mendonça, l’arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi, il maltese Mario Grech, il lussemburghese Jean-Claude Hollerich, e soprattutto il vicentino Pietro Parolin, già Segretario di Stato Vaticano sotto Bergoglio (a detta di molti il più favorito, capace di mettere d’accordo destra e sinistra ecclesiastica, tanto che in un certo periodo si chiacchierava già riguardo al suo nome pontificio: Giovanni XXIV). La loro strategia è chiara: consolidare le riforme di Francesco e proseguire sulla strada di una Chiesa sempre più adattata alle istanze del mondo moderno.

Il prossimo conclave rappresenterà un momento molto cruciale per la Chiesa. Da un lato, infatti, vi è la possibilità di una forte continuità e sviluppo della linea già avviata da Francesco, ossia la relativizzazione e democratizzazione di dottrina e morale (la cosiddetta “sinodalità”) e, contemporaneamente, la concentrazione del potere amministrativo e decisionale dalle mani della Curia e dei vescovi a quelle del papa. Dall’altro lato, si avverte sempre più forte l’esigenza di un papa che abbia il coraggio e l’energia per rimediare a tanti errori del passato, ma soprattutto per mantenere unita una Chiesa che mai ha visto così tante frammentazioni come negli ultimi anni (divisioni che hanno comportato, non da ultime, gravi ripercussioni economiche).

Queste preoccupazioni sono avvertite chiaramente anche da molti cardinali di nomina bergogliana, come per esempio quelli africani, che hanno mal digerito il documento Fiducia supplicans e la proposta di benedizioni delle coppie omosessuali presentate dall’(ex) favorito di Bergoglio, il cardinale argentino Fernandez. Gli elettori potrebbero dunque avvertire l’esigenza di un pontefice giovane e determinato, capace di imprimere una svolta decisiva in un senso o nell’altro.

Da qui, la possibilità anche che i cardinali decidano di guardare verso i cosiddetti outsider, cioè porporati più giovani ma meno noti i cui nomi non sono stati contemplati sin da subito tra i più papabili. Un esempio in tal senso potrebbe essere il canadese Francis Leo. A Roma c’è il detto: “chi entra Papa in conclave, ne esce cardinale”. Il prossimo conclave sarà teatro di una battaglia decisiva tra diverse visioni ecclesiali, anche radicalmente diverse tra loro. La strategia di Francesco ha reso il futuro della Chiesa più incerto, ma anche aperto a possibili sorprese. La questione centrale rimane: la Chiesa continuerà sulla strada del neo-modernismo o si aprirà a un ritorno alla Tradizione?


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