La domanda se sia ragionevole, oppure no, aprirsi sempre più al mercato cinese non ha una risposta semplice. Se da un lato è vero che il libero scambio ha un valore in sé, favorisce tutti i partecipanti e allontana ogni ipotesi di guerra, le cose possono essere diverse dinanzi a quell’inferno delle libertà che è l’odierna Cina comunista. Può quindi forse essere opportuno avere migliori relazioni commerciali con Pechino, ma ben sapendo che si tratta di una società basata sulla rapina di Stato, sull’ingiustizia eretta a sistema e anche su un progetto politico-militare egemonico che dovrebbe spaventarci.
Nel chiacchiericcio europeo di queste settimane, invece, sembra talora che la Cina sia l’ancora della libertà di fronte al preteso autoritarismo americano. Mentre gli alfieri delle banalità à la page continuano a raffigurare Donald Trump come una seria minaccia al genere umano, nessuno chiama mai in causa Xi Jinping, che divenne segretario del partito comunista cinese nel 2012 e ancora oggi è il “padre padrone” di un miliardo e mezzo di persone.
In verità, i post-marxisti woke dell’Europa declinante possono solo detestare l’America di oggi e non deve sorprendere che essi sentano pure una certa affinità con gli eredi di Mao. Gli scambi commerciali sono dunque soltanto un pretesto, perché è ovvio che se l’Europa accettasse di cancellare le proprie barriere (la disastrosa politica agricola europea e quella montagna di regole e regolette che è stata generata dalle direttive di Bruxelles) l’America farebbe lo stesso: in breve, avremmo un libero mercato atlantico. Si può discutere sui modi alquanto rozzi adottati da Trump, ma la sostanza sembra piuttosto chiara: gli Usa vogliono negoziare l’abbattimento delle barriere su un piano di reciprocità.
I problemi allora sono due.
Le classi dirigenti francesi, tedesche e italiane nutrono non soltanto una profonda antipatia per gli Usa trumpiani (per Musk, Robert Kennedy jr ecc.) e una spiccata simpatia per questi maoisti cinesi reinventatisi imprenditori di Stato (un po’ come tanti sessantottini italiani poi finiti alla testa di aziende pubbliche), ma sono pure preoccupati di difendere l’esistente. “Resistere strenuamente” dinanzi a Trump e “aprire ottimisticamente” ai comunisti cinesi per loro significa non toccare nulla: mantenere la fitta rete dei lacci e dei lacciuoli che una liberalizzazione degli scambi transatlantica dovrebbe cancellare e preservare l’interventismo economico nell’agricoltura.
Oggi agli eurocrati e ai loro cantori – a quanti tifano per i “controdazi” – i cinesi non soltanto piacciono. A quanto pare essi sono pure utile per continuare a difendere l’attuale sistema di potere.
Perché agli eurocrati piace tanto la Cina comunista? Perché hanno terrore del libero mercato
Carlo Lottieri · 16 Aprile 2025
La domanda se sia ragionevole, oppure no, aprirsi sempre più al mercato cinese non ha una risposta semplice. Se da un lato è vero che il libero scambio ha un valore in sé, favorisce tutti i partecipanti e allontana ogni ipotesi di guerra, le cose possono essere diverse dinanzi a quell’inferno delle libertà che è l’odierna Cina comunista. Può quindi forse essere opportuno avere migliori relazioni commerciali con Pechino, ma ben sapendo che si tratta di una società basata sulla rapina di Stato, sull’ingiustizia eretta a sistema e anche su un progetto politico-militare egemonico che dovrebbe spaventarci.
Nel chiacchiericcio europeo di queste settimane, invece, sembra talora che la Cina sia l’ancora della libertà di fronte al preteso autoritarismo americano. Mentre gli alfieri delle banalità à la page continuano a raffigurare Donald Trump come una seria minaccia al genere umano, nessuno chiama mai in causa Xi Jinping, che divenne segretario del partito comunista cinese nel 2012 e ancora oggi è il “padre padrone” di un miliardo e mezzo di persone.
In verità, i post-marxisti woke dell’Europa declinante possono solo detestare l’America di oggi e non deve sorprendere che essi sentano pure una certa affinità con gli eredi di Mao. Gli scambi commerciali sono dunque soltanto un pretesto, perché è ovvio che se l’Europa accettasse di cancellare le proprie barriere (la disastrosa politica agricola europea e quella montagna di regole e regolette che è stata generata dalle direttive di Bruxelles) l’America farebbe lo stesso: in breve, avremmo un libero mercato atlantico. Si può discutere sui modi alquanto rozzi adottati da Trump, ma la sostanza sembra piuttosto chiara: gli Usa vogliono negoziare l’abbattimento delle barriere su un piano di reciprocità.
I problemi allora sono due.
Le classi dirigenti francesi, tedesche e italiane nutrono non soltanto una profonda antipatia per gli Usa trumpiani (per Musk, Robert Kennedy jr ecc.) e una spiccata simpatia per questi maoisti cinesi reinventatisi imprenditori di Stato (un po’ come tanti sessantottini italiani poi finiti alla testa di aziende pubbliche), ma sono pure preoccupati di difendere l’esistente. “Resistere strenuamente” dinanzi a Trump e “aprire ottimisticamente” ai comunisti cinesi per loro significa non toccare nulla: mantenere la fitta rete dei lacci e dei lacciuoli che una liberalizzazione degli scambi transatlantica dovrebbe cancellare e preservare l’interventismo economico nell’agricoltura.
Oggi agli eurocrati e ai loro cantori – a quanti tifano per i “controdazi” – i cinesi non soltanto piacciono. A quanto pare essi sono pure utile per continuare a difendere l’attuale sistema di potere.
Autore
Carlo Lottieri
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