A partire dal 2025, l’Italia ha istituito un Fondo per la cura e prevenzione dell’obesità, con una dotazione di un milione di euro per gli anni 2025, 2026 e 2027 (più finanziamenti aggiuntivi per ciascun anno). Una cifra che, a detta dei promotori, rappresenterebbe un’azione concreta per contrastare una piaga sociale e globale in costante crescita. Tuttavia, la decisione di istituire questo fondo rappresenta l’ennesima dimostrazione che il nostro sistema politico è del tutto incapace di fidarsi della libertà e della responsabilità individuale, preferendo perpetuare un modello assistenziale che deresponsabilizza i cittadini e soffoca la società con interventi inefficaci e paternalistici.
L’obesità è un problema complesso e, in quanto tale, non può essere risolto con semplici iniezioni di denaro pubblico. Al contrario, l’intervento statale nel tentativo di risolvere questioni individuali spesso non fa che peggiorare la situazione. Gli incentivi economici, lungi dal risolvere i problemi, li favoriscono e li aggravano. Perché incentivare economicamente determinate scelte o comportamenti tende a deresponsabilizzare le persone, trasferendo il peso delle conseguenze delle loro azioni sulle spalle della collettività. Questo processo genera un circolo vizioso, in cui la dipendenza dai sussidi o dalle facilitazioni statali diventa parte del problema stesso.
Prendiamo, nel nostro caso, l’obesità. Spesso (non sempre, a onore del vero, e per questo è sempre giusto non fare di tutta l’erba un fascio) le cause dell’obesità sono da ricercare in uno stile di vita non salutare, spesso adottato dai gruppi sociali a basso reddito. Ma queste scelte non sono casuali: i cibi più economici sono spesso anche quelli altamente processati, ricchi di zuccheri e grassi, mentre gli alimenti sani tendono ad avere un costo più elevato. Sono molte le ragioni alla base di questo divario nei prezzi. In Europa, il prezzo di frutta e verdura – la base di una dieta sana – è notevolmente aumentato negli ultimi anni rispetto al prezzo medio degli altri alimenti. Certo, è normale che fattori quali la stagionalità e le condizioni metereologiche, il costo dei trasporti, della produzione e dello stoccaggio, gli accordi tra produttori e distributori, possano contribuire alla fluttuazione dei loro prezzi, ma la verità è che gran parte della responsabilità dell’aumento dei prezzi pesa sullo stato: si pensi, a titolo di esempio, alla tassa sui sacchetti biodegradabili in vigore dal 2018, al divieto per i consumatori di riutilizzare gli stessi dopo il primo acquisto, e il divieto per i supermercati di usare altri tipi di buste. Una piccola interferenza statale (dai 2 ai 10 centesimi per ogni sacchetto) ha portato molte persone a ridurre il consumo di questi generi alimentari. Inoltre, si calcola che la sola spinta inflattiva abbia causato, negli ultimi cinque anni, un aumento del prezzo medio della frutta e verdura del 21%.
Insomma, il produttore e il consumatore sono entrambi esacerbati dalle politiche fiscali, che penalizzano la produzione, la vendita e l’acquisto di prodotti sani. Ogni tassa, regolamentazione o imposizione burocratica si traduce in un aumento dei costi per il produttore, il quale inevitabilmente scarica tali costi sul consumatore finale.
Invece di sprecare risorse pubbliche in iniziative dall’efficacia discutibile, i politici dovrebbero concentrarsi su una strategia più razionale e indiretta: ridurre il carico fiscale sulla produzione e sulla vendita degli alimenti. Un simile approccio renderebbe i cibi sani più accessibili a una platea più vasta di persone, riducendo così l’ostacolo economico che oggi spinge molti verso alternative meno salutari. Il mercato, quando lasciato libero di operare senza le interferenze statali, tende a soddisfare le esigenze dei consumatori, offrendo una gamma più ampia di prodotti a prezzi competitivi.
Il principio è semplice: se i costi di produzione diminuiscono, anche i prezzi al dettaglio scendono, permettendo a più persone di acquistare alimenti sani. Coloro che desiderano adottare una dieta più equilibrata troverebbero così meno ostacoli economici. Al contrario, chi preferisce mantenere abitudini alimentari dannose dovrebbe essere lasciato libero di farlo (politicamente parlando), assumendosi così la piena responsabilità delle proprie scelte. In una società veramente libera, le colpe sono sempre considerate individuali, mai collettive.
Alcuni potrebbero obiettare che il governo dovrebbe agire in modo ancora più deciso, tassando lo zucchero e altri ingredienti considerati malsani. Questa proposta, sostenuta dai socialisti di vario colore, da sempre fautori del paternalismo statale (non dimentichiamo che questo fondo contro l’obesità è stato approvato tramite un emendamento al disegno di legge di bilancio, a prima firma di Roberto Pella, capogruppo di Forza Italia in Commissione Bilancio della Camera dei Deputati), rappresenta un grave errore. Tassare cibi o bevande non salutari non modificherebbe affatto le abitudini alimentari delle persone a basso reddito. Semplicemente, peggiorerebbe la loro condizione economica. Se una famiglia fatica già a mettere insieme un pasto decente, aumentare il costo dei prodotti che consuma non porterà certo a un miglioramento della dieta: quelle persone continueranno a scegliere le opzioni più economiche disponibili, che resteranno comunque quelle più dannose.
Anche l’idea che una maggiore tassazione dei cibi malsani possa spingere i consumatori verso opzioni più salutari si scontra con la realtà del mercato. Se i cibi sani sono costosi oggi (perché direttamente o indirettamente tassati), lo saranno anche domani: le tasse sugli zuccheri non incidono sulle dinamiche che regolano il loro prezzo. L’unico effetto di questa politica sarebbe un aumento del disagio economico per le famiglie già in difficoltà.
Educazione, consapevolezza e accessibilità economica ai prodotti sani sono le chiavi per combattere efficacemente questa battaglia contro l’obesità. Gli sforzi educativi possono essere condotti senza necessariamente ricorrere a interventi coercitivi o spese pubbliche eccessive. Campagne di sensibilizzazione ben progettate, magari finanziate attraverso iniziative private o partnership pubblico-private, possono avere un impatto significativo, senza gravare sulle tasche dei contribuenti. È cruciale, oggi più che mai, che i politici comprendano i limiti dell’azione statale.
L’idea che ogni problema sociale possa essere risolto con più soldi pubblici è non solo ingenua, ma profondamente dannosa. Una società che deresponsabilizza i suoi cittadini, trasferendo sulle spalle della collettività il peso delle scelte individuali, finisce per creare un ambiente in cui nessuno è realmente responsabile delle proprie azioni. Questo non è solo un problema economico, ma anche morale. Un problema di cui la società odierna (italiana e non solo) soffre terribilmente.
La vera lotta contro l’obesità richiede un cambiamento culturale, non un nuovo fondo pubblico. I cittadini devono essere incoraggiati a prendere decisioni consapevoli, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte di vita. Allo stesso tempo, è necessario rimuovere gli ostacoli economici e burocratici che rendono difficile per molti accedere a una dieta sana. Ridurre il carico fiscale sui produttori di cibi sani è un passo essenziale in questa direzione.
Il governo italiano ha scelto di percorrere la strada più facile e politicamente conveniente, stanziando fondi pubblici senza affrontare le cause profonde del problema. Ma i cittadini meritano di meglio. Meritano una politica che rispetti la loro libertà, che li responsabilizzi e che crei le condizioni per un vero cambiamento. La soluzione all’obesità non sta in un milione di euro da distribuire, ma nella capacità di restituire alle persone il controllo sulle proprie scelte e sul proprio futuro.
Basta con i fondi che indirizzano le scelte dell’individuo: restituitegli la responsabilità personale
Gaetano Masciullo · 27 Gennaio 2025
A partire dal 2025, l’Italia ha istituito un Fondo per la cura e prevenzione dell’obesità, con una dotazione di un milione di euro per gli anni 2025, 2026 e 2027 (più finanziamenti aggiuntivi per ciascun anno). Una cifra che, a detta dei promotori, rappresenterebbe un’azione concreta per contrastare una piaga sociale e globale in costante crescita. Tuttavia, la decisione di istituire questo fondo rappresenta l’ennesima dimostrazione che il nostro sistema politico è del tutto incapace di fidarsi della libertà e della responsabilità individuale, preferendo perpetuare un modello assistenziale che deresponsabilizza i cittadini e soffoca la società con interventi inefficaci e paternalistici.
L’obesità è un problema complesso e, in quanto tale, non può essere risolto con semplici iniezioni di denaro pubblico. Al contrario, l’intervento statale nel tentativo di risolvere questioni individuali spesso non fa che peggiorare la situazione. Gli incentivi economici, lungi dal risolvere i problemi, li favoriscono e li aggravano. Perché incentivare economicamente determinate scelte o comportamenti tende a deresponsabilizzare le persone, trasferendo il peso delle conseguenze delle loro azioni sulle spalle della collettività. Questo processo genera un circolo vizioso, in cui la dipendenza dai sussidi o dalle facilitazioni statali diventa parte del problema stesso.
Prendiamo, nel nostro caso, l’obesità. Spesso (non sempre, a onore del vero, e per questo è sempre giusto non fare di tutta l’erba un fascio) le cause dell’obesità sono da ricercare in uno stile di vita non salutare, spesso adottato dai gruppi sociali a basso reddito. Ma queste scelte non sono casuali: i cibi più economici sono spesso anche quelli altamente processati, ricchi di zuccheri e grassi, mentre gli alimenti sani tendono ad avere un costo più elevato. Sono molte le ragioni alla base di questo divario nei prezzi. In Europa, il prezzo di frutta e verdura – la base di una dieta sana – è notevolmente aumentato negli ultimi anni rispetto al prezzo medio degli altri alimenti. Certo, è normale che fattori quali la stagionalità e le condizioni metereologiche, il costo dei trasporti, della produzione e dello stoccaggio, gli accordi tra produttori e distributori, possano contribuire alla fluttuazione dei loro prezzi, ma la verità è che gran parte della responsabilità dell’aumento dei prezzi pesa sullo stato: si pensi, a titolo di esempio, alla tassa sui sacchetti biodegradabili in vigore dal 2018, al divieto per i consumatori di riutilizzare gli stessi dopo il primo acquisto, e il divieto per i supermercati di usare altri tipi di buste. Una piccola interferenza statale (dai 2 ai 10 centesimi per ogni sacchetto) ha portato molte persone a ridurre il consumo di questi generi alimentari. Inoltre, si calcola che la sola spinta inflattiva abbia causato, negli ultimi cinque anni, un aumento del prezzo medio della frutta e verdura del 21%.
Insomma, il produttore e il consumatore sono entrambi esacerbati dalle politiche fiscali, che penalizzano la produzione, la vendita e l’acquisto di prodotti sani. Ogni tassa, regolamentazione o imposizione burocratica si traduce in un aumento dei costi per il produttore, il quale inevitabilmente scarica tali costi sul consumatore finale.
Invece di sprecare risorse pubbliche in iniziative dall’efficacia discutibile, i politici dovrebbero concentrarsi su una strategia più razionale e indiretta: ridurre il carico fiscale sulla produzione e sulla vendita degli alimenti. Un simile approccio renderebbe i cibi sani più accessibili a una platea più vasta di persone, riducendo così l’ostacolo economico che oggi spinge molti verso alternative meno salutari. Il mercato, quando lasciato libero di operare senza le interferenze statali, tende a soddisfare le esigenze dei consumatori, offrendo una gamma più ampia di prodotti a prezzi competitivi.
Il principio è semplice: se i costi di produzione diminuiscono, anche i prezzi al dettaglio scendono, permettendo a più persone di acquistare alimenti sani. Coloro che desiderano adottare una dieta più equilibrata troverebbero così meno ostacoli economici. Al contrario, chi preferisce mantenere abitudini alimentari dannose dovrebbe essere lasciato libero di farlo (politicamente parlando), assumendosi così la piena responsabilità delle proprie scelte. In una società veramente libera, le colpe sono sempre considerate individuali, mai collettive.
Alcuni potrebbero obiettare che il governo dovrebbe agire in modo ancora più deciso, tassando lo zucchero e altri ingredienti considerati malsani. Questa proposta, sostenuta dai socialisti di vario colore, da sempre fautori del paternalismo statale (non dimentichiamo che questo fondo contro l’obesità è stato approvato tramite un emendamento al disegno di legge di bilancio, a prima firma di Roberto Pella, capogruppo di Forza Italia in Commissione Bilancio della Camera dei Deputati), rappresenta un grave errore. Tassare cibi o bevande non salutari non modificherebbe affatto le abitudini alimentari delle persone a basso reddito. Semplicemente, peggiorerebbe la loro condizione economica. Se una famiglia fatica già a mettere insieme un pasto decente, aumentare il costo dei prodotti che consuma non porterà certo a un miglioramento della dieta: quelle persone continueranno a scegliere le opzioni più economiche disponibili, che resteranno comunque quelle più dannose.
Anche l’idea che una maggiore tassazione dei cibi malsani possa spingere i consumatori verso opzioni più salutari si scontra con la realtà del mercato. Se i cibi sani sono costosi oggi (perché direttamente o indirettamente tassati), lo saranno anche domani: le tasse sugli zuccheri non incidono sulle dinamiche che regolano il loro prezzo. L’unico effetto di questa politica sarebbe un aumento del disagio economico per le famiglie già in difficoltà.
Educazione, consapevolezza e accessibilità economica ai prodotti sani sono le chiavi per combattere efficacemente questa battaglia contro l’obesità. Gli sforzi educativi possono essere condotti senza necessariamente ricorrere a interventi coercitivi o spese pubbliche eccessive. Campagne di sensibilizzazione ben progettate, magari finanziate attraverso iniziative private o partnership pubblico-private, possono avere un impatto significativo, senza gravare sulle tasche dei contribuenti. È cruciale, oggi più che mai, che i politici comprendano i limiti dell’azione statale.
L’idea che ogni problema sociale possa essere risolto con più soldi pubblici è non solo ingenua, ma profondamente dannosa. Una società che deresponsabilizza i suoi cittadini, trasferendo sulle spalle della collettività il peso delle scelte individuali, finisce per creare un ambiente in cui nessuno è realmente responsabile delle proprie azioni. Questo non è solo un problema economico, ma anche morale. Un problema di cui la società odierna (italiana e non solo) soffre terribilmente.
La vera lotta contro l’obesità richiede un cambiamento culturale, non un nuovo fondo pubblico. I cittadini devono essere incoraggiati a prendere decisioni consapevoli, assumendosi la responsabilità delle proprie scelte di vita. Allo stesso tempo, è necessario rimuovere gli ostacoli economici e burocratici che rendono difficile per molti accedere a una dieta sana. Ridurre il carico fiscale sui produttori di cibi sani è un passo essenziale in questa direzione.
Il governo italiano ha scelto di percorrere la strada più facile e politicamente conveniente, stanziando fondi pubblici senza affrontare le cause profonde del problema. Ma i cittadini meritano di meglio. Meritano una politica che rispetti la loro libertà, che li responsabilizzi e che crei le condizioni per un vero cambiamento. La soluzione all’obesità non sta in un milione di euro da distribuire, ma nella capacità di restituire alle persone il controllo sulle proprie scelte e sul proprio futuro.
Autore
Gaetano Masciullo
Opinione dei lettori