La Lega è viva e pure in buona salute. Cari perbenisti ci spiace, peggio per voi.

· 10 Giugno 2024


Erano stati in molti a gufare, a puntare le proprie fiches su un tracollo della Lega in queste elezioni europee. I giornaloni, gli intellettuali, i politici della sinistra in prima linea. È una tattica molto semplice e prevedibile che i progressisti adottano ogni volta che governa una coalizione a loro avversa e che ha largo consenso fra i cittadini. Provano a spaccarla, oltre che a delegittimarla.

Funziona così: si sceglie un socio di maggioranza e si comincia a dargli addosso nella speranza che, cedendo un anello, venga giù tutta la catena. Oppure si prende come bersaglio un leader, in questo caso Matteo Salvini, e si ipotizzano spaccature e contrasti profondi all’interno del suo partito, con fronde pronte a scalzarlo. Le due tattiche, in verità, non sono alternative: usate insieme fanno parte di un’unica strategia. Ma l’operazione questa volta non ha funzionato: la Lega ha retto agli assalti, confermando il risultato delle politiche dell’anno scorso, anzi aumentando pure la percentuale di qualche frazione di punto.

Non solo. Si può dire infatti che, anche se sui giornaloni leggerete il contrario, a essere premiate siano state prima di tutto le scelte di Matteo Salvini. Premiata è stata, in primo luogo, la scelta di candidare Roberto Vannacci. Il generale ha avuto una valanga di voti non perché sia un fenomeno mediatico creato a tavolino, come avviene spesso a sinistra, ma perché è un personaggio popolare la cui fortuna è nata dal basso. Si possono condividere tutte o solo in parte le sue idee, e soprattutto i suoi toni, ma fatto sta che egli  ha avuto il coraggio di mettere nero su bianco una feroce critica a 360 gradi del politically correct. Parlando alla gente semplice con le parole della gente semplice.

Premiata è stata poi la scelta degli alleati in Europa, a cominciare da quella Marine Le Pen il cui partito si candida ormai a governare la Francia. Chi aveva chiesto a sinistra addirittura le dimissioni dal governo di Salvini, che aveva osato attaccare Macron, dovrà prendere atto che a essere dimissionato dal popolo francese è ora proprio l’uomo che siede all’Eliseo. Non va nemmeno dimenticato che del gruppo di Identità e Democrazia, cui in Europa afferisce la Lega, fanno parte anche gli austriaci di Fpo, che hanno stravinto in Austria, e gli stessi tedeschi dell’AfD che, dopo aver espulso alcuni estremisti di vaghe simpatie neonaziste, contano di rientrarvi.

In verità, la divisione che ora si cercherà di avallare, quella fra una destra più o meno presentabile e una “ultradestra” radicale ed eversiva, è del tutto impropria ed è da considerarsi un ennesimo tentativo volto a spaccare il fronte avversario. A destra, come il caso italiano dimostra ampiamente, diverse sensibilità, tutte legittime, trovano un forte trait-d’-union proprio in una comune idea di un’Europa diversa da quella illiberale che i progressisti vorrebbero imporci.

La via maestra passa anche in Europa da una destra unita sui suoi obiettivi, che sono poi quelli di una larga fetta dei suoi cittadini come si è visto in questa tornata elettorale. Tutto bene, allora, per la Lega? Ovviamente, sarebbe stupido dirlo. L’effetto che ha avuto la scelta di far parte del governo Draghi ha avuto effetti dirompenti sul consenso maturato in precedenza. Le elezioni europee ci hanno detto che la diaspora si è però arrestata. Frenata l’emorragia, confermato uno “zoccolo duro” di elettorato, bisogna ora solo rimboccarsi le maniche. Sulle sue idee, con la sua attenzione ai territori, con la capacità di parlare alle imprese e ai liberali veri, nonché con la capacità di governare con buon senso e pragmatismo, la Lega può ancora crescere, conquistando la fiducia di un numero ancora più consistente di elettori. Sarebbe un bene anche per l’Italia, a mio avviso.


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