PER USCIRE DALL’INTRECCIO DI CLIENTELE E BARONIE C’È UN SOLO MODO: PRIVATIZZARE L’UNIVERSITÀ!

· 31 Maggio 2024


L’intervento di Marco Bassani in questo sito, intitolato “Abbiamo gli atenei peggiori d’Europa: i docenti sono come negli anni Settanta, poveri noi”, ha richiamato l’attenzione su un tratto essenziale del sistema universitario italiano: e cioè il fatto che i nostri atenei sono gestiti dai docenti stessi. Il risultato è che filologi romanzi, dermatologi e urbanisti possono trovarsi alla guida di aziende che non sono assolutamente in grado di gestire. Una delle ragioni all’origine della formidabile espansione delle università telematiche è tutta qui: si tratta di imprese che sono trattate come tali e che sono quindi affidate alle cure di chi conosce le questioni di bilancio, il marketing, le strategie per la motivazione dei dipendenti, l’organizzazione aziendale e via dicendo.

C’è pure un altro segreto di Pulcinella che viene spesso trascurato quando si ragiona di università, e riguarda le regole di selezione e carriera che vigono all’interno degli atenei. Al di là di ogni tecnicismo e barocchismo, tutti coloro che sono in università sanno bene che quasi sempre si ottengono un posto, prima, e una progressione, poi, grazie a logiche di “cooptazione”. Questa è l’effettività dell’ordinamento universitario e chiunque sia all’interno del sistema lo sa bene. Esistono baroni che hanno il potere di dare una collocazione lavorativa ai più giovani e che poi li conducono verso posizioni di maggior prestigio. La cooptazione è un metodo come un altro: che ha i suoi pregi e i suoi difetti. I difetti sono noti, ma esistono anche i pregi. Ad esempio, le tradizioni di studio (le cosiddette “scuole”) sono direttamente legate a questo processo, grazie al quale uno studioso che ha una certa forma mentis, ha un suo progetto di ricerca e si occupa di talune questioni coinvolge in questa avventura altri ricercatori. Quando Edmund Husserl disse “la fenomenologia siamo Heidegger e io”, diede mostra da un lato di grande generosità e dall’altro richiamò l’attenzione sul fatto che maestro e allievo intendevano aprire nuove vie alla riflessione filosofica.

Il guaio dei nostri ordinamenti accademici, però, è che le “cooptazioni” (grazie alle quali un barone dimostra di essere tale soprattutto quando riesce a portare in cattedra uno studioso da poco) sono travestite da “concorsi”. Un barone è tale e dispone davvero di potere se sa piazzare in accademia i suoi allievi e magari anche quelli dei suoi amici (e vassalli); al tempo stesso, questo è il punto dolente, nessuno gli chiederà mai ragione delle scelte compiute, dato che sul piano formale egli non ha deciso nulla, poiché tutta la carriera del suo protetto, in effetti, è un susseguirsi di concorsi, anche se ognuno sa che sono competizioni in cui uno soltanto avrebbe potuto vincere. Trattandosi di mettere le mani su risorse scarse, i baroni naturalmente sono sempre in una situazione di reale o potenziale conflitto tra loro. Quando sono nominate le commissioni nazionali incaricate di attribuire le idoneità di prima fascia (per diventare ordinari) e quelle di seconda fascia (per diventare associati), le linee telefoniche si fanno roventi. Lo stesso accade quando vanno a scadenza il direttore di dipartimento oppure i responsabili di questa o quella associazione scientifica di settore, realtà che dovrebbero occuparsi di favorire la ricerca e organizzare convegni, ma che poi nei fatti divengono luoghi di negoziato tra consorterie.

A seguito di tutto ciò abbiamo visto emergere due figure: il professore burocrate e il professore politico. Il primo da anni ha smesso di studiare e fare ricerca, dato che deve occuparsi durante l’intera giornata di questioni amministrative e assecondare un ordinamento in costante evoluzione. Il secondo, invece, in genere si muove nell’ombra: spesso non è interessato a diventare rettore o direttore di dipartimento, ma invece punta a tessere una serie di relazioni che lo portino a essere dominus in innumerevoli situazioni concorsuali. In vari casi, com’è noto, questi meccanismi che producono carriere universitarie sono strettamente intrecciati a interessi privati esterni: l’allievo da promuovere è anche un collaboratore del barone (lavora nel studio professionale, ad esempio) e in taluni settori – come in medicina – l’intreccio tra potere accademico e profitti privati assume dimensioni rilevanti.

Come si potrebbe uscire da questa situazione? Cominciamo a chiarire che alcune ipotesi sono irrealistiche. Una consiste nel credere che si possa eliminare la cooptazione e quindi anche il legame tra maestro e allievo. Ancor più assurdo è credere che entro un sistema statizzato si possano responsabilizzare i decisori rendendo palese la logica della cooptazione. Di conseguenza, come sostiene Free Academy (www.freacademy.it), l’unica vera via d’uscita da questo intreccio di sudditanza, clientelismo, corruzione e favoritismi arbitrari, che in qualche caso possono pure premiare amanti e parenti, consisterebbe nel dirigersi verso università libere e private, che vivano dalle risorse ottenute dai destinatari dei servizi offerti. Non si tratta certo di un obiettivo a portata di mano, dato che il ceto burocratico-universitario è disposto a tutto pur di difendere lo status quo. In un mondo di atenei privati chiamati a reggere la competizione di mercato i baroni si scioglierebbero come neve al sole: dovrebbero tornare a studiare e insegnare, lasciando i compiti organizzativi e imprenditoriali a chi è del mestiere.

La prospettiva di un’università di mercato oggi appare lontana, ma negli anni a venire il mondo accademico potrebbe cambiare molto più velocemente di quanto non si possa credere in ragione di due fattori: le trasformazioni tecnologiche in atto, che stanno facendo decollare le università online e stanno dissolvendo le barriere linguistiche (oggi si possono registrare lezioni in una lingua, che poi ognuno ascolterà nella lingua che preferisce); e la progressiva apertura dei confini, in ragione della quale un titolo americano o britannico oggi non vale affatto meno di uno italiano. Fin dal nome, i baroni sono quello che resta in un vecchio universo in disfacimento. Prima ce ne libereremo e meglio sarà.


Opinione dei lettori
  1. Paolo   Di   1 Giugno 2024 alle 10:25

    Ottimo articolo, complimenti a Lottieri per questa visione che potrebbe apparire oggi non percorribile in concreto ma su cui dovrebbe aprirsi un vero dibattito, soprattutto un dibattito non “ drogato “ da posizioni apodittiche come quelle che la classica accademia innalzerebbe immediatamente a baluardo dell esistente

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